Abbiamo deciso di “andare oltre” i 120secondi! La nostra rubrica non cambia il contenuto, “solo” la durata e la profondità. Oltre 120secondi vuole essere uno spazio tematico per approfondire tematiche sulle risorse umane e più in generale sulla relazione tra persone e lavoro attraverso esperienze di professionisti e aziende.
Ecco il primo appuntamento del format con un ospite d’eccezione: Osvaldo Danzi! Con la sua voce “fuori dal coro” iniziamo a parlare di persone e lavoro con una prospettiva verso il futuro, a fronte dei cambiamenti che stiamo vivendo.
I temi che affrontiamo nel dialogo con Osvaldo Danzi toccano aspetti legati alla selezione e al welfare in un periodo di oggettivo cambiamento. Eccone dei brevissimi spunti prima del video.
Un recruiter come esploratore
Chi lavora nelle risorse umane deve essere appassionat* di persone. E nel recruiting diventa un must per scegliere bene la persona di fronte a noi.
Osvaldo Danzi si definisce “un esploratore il cui lavoro è trovare i personaggi più adatti a storie sempre diverse“, più che un recruiter. L’inversione di paradigma che manifesta parlando di UmaneRisorse enfatizza la sua visione fortemente orientata alla persona in quanto tale, più che alla “risorsa umana”. Di fronte a chi seleziona non ci sono solo skill, esperienze, carriere, ma prima di tutto persone. Questa visione costringe a vedere i candidati in modo un po’ diverso: non esistono “talenti” nel mercato del lavoro ma persone che meglio si adattano a determinati ambienti di lavoro (e viceversa).
Ripensare la flessibilità e lo smart working
Nell’attività di selezione e valutazione del personale le soft skill sono un importante criterio di analisi.
Tra queste la flessibilità compare sempre più spesso nei job profile. Noi di Skill siamo abituati a definire la flessibilità come una competenza di adattamento, di reattività al contesto mutevole, di apertura a nuove esperienze. Spesso però, nel mondo del lavoro, è tradotta con altri significati. “Chiediamo alle persone di essere flessibili ma dietro quella flessibilità chiediamo di fatto di non rispettare il contratto di 8 ore”, sostiene Osvaldo, svelando l’altra faccia della medaglia della flessibilità.
In questo momento di oggettivo cambiamento, la flessibilità diventa il presupposto per lo smart working. Le persone sono sempre più interessate a trovare il loro equilibrio fra lavoro e vita privata. E lo smart working è uno dei mezzi che aiuta a sostenere questo modello.
Cosa stanno facendo le aziende in proposito? Secondo Danzi, il lavoro è ancora molto lungo, soprattutto in Italia, dove persiste in certi settori una cultura patronale non sempre allineata a questa visione. Non a caso si sta assistendo anche qui al fenomeno della great resignation, ovvero dipendenti che si dimettono dalle loro aziende perché sollecitati a tornare in ufficio full-time.
Lo smart working richiede nuovi modelli di welfare
Dalle nostre indagini di clima notiamo quanto investire in piani di welfare porti beneficio in termini di benessere sia all’azienda che alle persone. Ma i piani che trasformano l’azienda in un luogo non solo di lavoro, ma anche di hobby, relax e svago, funzioneranno ancora con l’arrivo dello smart working?
Con il cambiamento in atto le persone recuperano una buona fetta del tempo che prima era imbrigliato da orari prestabiliti sul posto di lavoro. “Ora, io ho il tempo di andare in palestra, ho il tempo di portare i miei figli all’asilo, di andare in lavanderia”, sostiene Osvaldo Danzi. L’esperienza di poter dedicare più tempo alla propria sfera privata è una conquista a cui difficilmente si potrà rinunciare.
Stiamo già in parte vedendo le conseguenze di questo nuovo senso del lavoro nella selezione: candidati che lasciano grandi multinazionali e accettano impieghi in aziende più piccole che garantiscono una migliore sostenibilità della vita, a partire dalla possibilità di fare smart working.
00:00 Presentazione
00:27 Recruiter come esploratore di UmaneRisorse
03:33 La flessibilità come competenza dello smart working
14:05 Welfare ai tempi dello smart working: funziona ancora il modello delle “palestre”?