Non si può parlare di Great Resignation senza approfondire come sta cambiando il senso del lavoro oggi.
Cos’è la Great Resignation in Italia e come si collega ad un nuovo senso del lavoro?
Nel nuovo appuntamento di oltre 120secondi, con Paolo Iacci, psicologo del lavoro, manager e docente universitario, approfondiamo il fenomeno e le motivazioni alla base di un’evoluzione inevitabile (e già in atto) verso l’approccio al lavoro.
Le “Grandi Dimissioni” in Italia
È The Great Resignation anche in Italia? I numeri lasciano intendere l’inizio di un cambiamento.
Il nostro Paese sembra arenato in una condizione lavorativa paradossale: la popolazione attiva è tra le più basse d’Europa, la richiesta di manodopera aumenta ma rimane inevasa.
A ciò si aggiunge il fatto che a partire dalla fine del 2021 il numero delle dimissioni volontarie è in aumento.
I dati dell’Osservatorio sul precariato dell’Inps lo confermano. Il record è del primo trimestre 2022 dove non sono mai state così elevate rispetto agli anni di conteggio precedenti (306.710 cessazioni da contratti a tempo indeterminato, +35% dal trimestre precedente).
Secondo le ricerche di AIDP, inoltre, il fenomeno tocca buona parte dei giovani. I dati di inizio 2022 mostrano che a scegliere di cambiare lavoro sono soprattutto le persone nella fascia d’età compresa fra i 26 e i 35 anni, che costituisce il 70% del campione analizzato (aziende del Nord Italia).
Ad accentuare il fenomeno, un grande senso di insoddisfazione e rassegnazione, che caratterizza trasversalmente le generazioni della forza lavoro: nelle nostre aziende solo il 5% dei lavoratori si percepisce soddisfatto sul posto di lavoro e soltanto il 4% risulta “coinvolto”, cioè proattivo, vitale, energico nel ruolo che ricopre (fonte: Gallup, 2022).
La “Great Resignation” in Italia è un termine che descrive le conseguenze di un vissuto che emerge più che altrove. Quali motivazioni si celano alla base?
Great Resignation come crisi di senso
I dati di AIDP individuano alcune delle motivazioni che spingono le persone ad abbandonare il proprio posto di lavoro. Oltre a fattori più fisiologici come la ripresa del mercato post-pandemia e la ricerca di migliori condizioni economiche e di crescita, le persone aspirano ad un miglior equilibrio fra vita privata e lavoro e, per la prima volta, alla ricerca di un nuovo senso di vita.
Le persone stanno ridefinendo cosa significa per loro lavorare.
Ci si interroga sul senso del proprio lavoro e sul ruolo che si ha nella società. Questa nuova consapevolezza, suggerita anche dalla crisi umanitaria appena vissuta, guida nuovi bisogni e aspettative.
Di contro, è inevitabile una crisi di senso della concezione del lavoro propria di un modello di sviluppo occidentale orientato quasi esclusivamente alla performance e all’efficienza. Un sistema che ha reso il lavoro un aspetto totalizzante della vita per la maggioranza delle persone che l’hanno vissuto.
Un modello di sviluppo che non funziona più
Se per molti delle generazioni passate questo modello di lavoro edifica l’identità e il modo di vivere (banalmente sintetizzato nel detto “prima il dovere poi il piacere”), per Millennial e Gen Z non è più così.
La hustle culture, dove dedicare più ore possibili al lavoro e all’azienda è un mantra, non è più una cornice entro cui poter vivere una vita professionale e personale significativa. Di conseguenza, culture aziendali tossiche, richiesta di reperibilità continua, il mancato rispetto degli orari di lavoro e degli spazi privati sono aspetti che sempre meno i lavoratori sono disposti ad accettare.
Nuovi valori, equilibrio e flessibilità, impatto sul mondo, crescita personale assumono per i giovani sempre più peso nel lavoro e nella realizzazione di sé.
Cosa implica ciò per le imprese?
Un patto da riscrivere tra persone e aziende
Non c’è dubbio che in Italia le aziende siano state colte di sorpresa.
I dati di AIDP mostrano che gran parte delle organizzazioni sembra insensibile al fenomeno o reagisce in modo fisiologico, cioè sostituendo le dimissioni con altri contratti a tempo indeterminato, quando invece la situazione richiederebbe una trasformazione radicale.
“Una diversa concezione del lavoro implica un patto tra individuo e organizzazione completamente da riscrivere” afferma Paolo Iacci. Un cambiamento di atteggiamento delle persone implica necessariamente anche quello delle aziende, in particolare della cultura organizzativa che le sostiene.
Comprendere il ruolo di una persona all’interno di un’organizzazione, valorizzare le sue competenze, l’inclusione nei team, gestire lo smart working allineandosi alle sue esigenze sono solo alcune delle azioni con focus sulla persona che le aziende e gli Hr devono impegnarsi ad attuare per definire una nuova collaborazione con le persone e un cambiamento di cultura condiviso.
00:00 Introduzione al tema
01:03 I dati della situazione italiana
05:20 Chi riguarda la Great Resignation?
06:56 Quali sono i motivi delle dimissioni?
09:25 Una nuova percezione del lavoro?
11:17 Quali previsioni sul futuro?
12:56 Esiste un divario generazionale da colmare
18:55 Conclusioni